Un giorno di ordinaria follia (lavorativa e climatica)

Il sole arriva impietoso alle cinque di mattina nel Regno di Eswatini (ex Swaziland). Guardo fuori, il cielo è sgombro, gli uccellini cinguettano, oggi farà caldo; e sarà umido. Siamo quasi in fondo all’emisfero sud,  è estate ed è anche la stagione delle piogge. Alle 12 ci sono 30 gradi. Effettivamente tanti per questa capitale di montagna, è afoso, devo mettere l’aria condizionata in macchina mentre rientro dall’incontro con alcune organizzazioni della società civile che stiamo sostenendo. Alle 12.56 mi precipito fuori dall’ufficio colpita dal pensiero improvviso che mio figlio treenne finirà il club infanzia alle 13 (le scuole vere e proprie sono chiuse per le vacanze estive) e che nella pausa pranzo gli ho promesso di andare in piscina, dove sta imparando a nuotare. Carico anche la figlia grande e ci precipitiamo. Arriviamo alla piscina alle 13.15. C’è il sole, ma alle nostre spalle è comparso un nuvolone nero minaccioso e si sta alzando il vento. Ok, è estate, ci puo stare un acquazzone estivo, e tanto comunque, acqua sotto e acqua sopra, non faranno male due gocce. Alle 13.20 il cielo è tutto nero, tuona, tira vento e fa un freddo umido che ti entra nelle ossa. Iniziano a sorgere i primi dubbi. Calo comunque diligentemente mio figlio in acqua e lui felicissimo inizia a fare la stellina col suo istruttore. Alle 13.30 l’istruttore si gira e inizia a gridare di fare uscire tutti dall’acqua per evitare “che i bambini friggano” (traduzione letterale). Mi giro e vedo lampi enormi calare dritti come fusi dal cielo, vicini. Tuoni. Raccatto tutto, compresi i figli bagnati, con quello piccolo che strilla non capendo perché deve uscire. Riesco a mettere il pacchetto-famiglia in macchina e inizia a piovere. I bambini sono bagnati, è freddino e accendo il riscaldamento. Alle 13.40 mentre con la macchina torniamo verso casa inizia a grandinare. Ogni pallino di grandine ha un diametro di 2 centimetri, il rumore è assordante, le macchine iniziano a fermarsi ai lati dell’autostrada sotto piloni, ponti, ingombrando anche parte della carreggiata: è il caos. La grandine continua sempre piu forte, ho paura che la macchina sarà ridotta a una grattugia, ma soprattutto che spacchi i vetri. Decido (come si fa a decidere in frazioni di secondo…) di non fermarmi e che la nostra salvezza sarà solo arrivare a casa e urlo ai miei figli di mettersi giù con la testa tra le mani. Schivo le macchine nel mezzo di strada e, non sapendo se è meglio accelerare al massimo o andare molto piano, faccio alternativamente prima l’una e poi l’altra cosa, col risultato che la figlia grande inizia a urlare che vuole vomitare e quello piccolo urla per solidarietà e perché è tutto cosi divertente. La grandine è ormai uno strato di sassi scivolosi sulla strada, e infatti le macchine scivolano. Alcune hanno i vetri rotti e le persone corrono via. Alle 13.50 arriviamo a casa, siamo salvi, i danni alla macchina si vedranno poi. Alle 13.58, sono in ufficio, fresca e rilassata dopo la pausa pranzo (!). Alle 14.20 smette di grandinare e continua a piovere. Inizio uno Skype per scrivere un nuovo progetto legato alla agroecologia. Dobbiamo parlare forte perché la pioggia batte sul tetto di lamiera dell’ufficio. Alle 14.30 improvvisamente vedo un lampo di luce alla stampante e mi viene da fare un urlo, la mia collega mi guarda e urla anche lei, io sento un sibilo tra gli orecchi e il PC si arresta. Realizziamo che un fulmine ha appena fatto bruciare la stampante, il modem, il telefono… e i miei auricolari. Mi dico che sono miracolata e, mentre la mia collega mi fissa come un fantasma, riaccendo il PC, che per fortuna non ha subito danni, cambio auricolari, richiamo i colleghi in Skype per tranquillizzarli e – che altro fare? – a quel punto riprendiamo la riunione. Alle 15 smette di piovere. Mi preparo per uscire per l’ultimo impegno della giornata. Guardo fuori, il cielo è sgombro, gli uccellini cinguettano e fa caldo…

 

Nel periodo 2000-2007, 123 vittime di morti legate ai fulmini sono state registrate dalla polizia nel Paese, con una media annuale di fatalità di 15,5 persone per milione di abitanti, la piu alta mai registrata nel mondo (Natural Hazard, 2009). COSPE coordina nel Paese un progetto sull’adattamento ai cambiamenti climatici.

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Federica

Federica Masi, nata a Firenze il 01.03.1975, segno zodiacale Pesci (e un tremendo ascendente Vergine) dopo una Laurea in Filosofia e un Master per la Tutela dei Diritti Umani a Roma, conosce COSPE nel 1999. Da quel momento inizia una storia lunga che prima la porta in Kosovo come volontaria poco dopo la fine della guerra, per poi passare ad occuparsi di progetti in Africa Sub-sahariana, alternando lavoro dall'Italia con periodi di permanenza all'estero tra Swaziland, Malawi, Ghana e Somalia. Nel 2004 viene eletta come la più giovane Segretaria Generale di una ONG Italiana, e tra incoscienza, passione, visione e tanta voglia di fare, accompagna la ONG per 7 anni in un percorso di crescita, sfide, difficoltà, successi. Dal 2012 torna ad occuparsi di incarichi più vicini ai progetti, prima coordinando l'Area Africa e poi assumendo la Direzione del Dipartimento Cooperazione Internazionale. Nel mezzo, la storia di una vita, una famiglia, due figli, due gatte, un cavallo, e tante missioni in 26 Paesi del mondo dove COSPE ha sedi e progetti. Col desiderio di occuparsi da vicino di quei diritti umani da cui tutto era iniziato, da gennaio del 2018 inizia una nuova avventura in Swaziland, trasferendosi con la famiglia per coordinare la sede COSPE nel Paese e in particolare il progetto RIGHTS4ALL per la promozione e protezione dei diritti fondamentali e della democrazia nel più piccolo e antico regno del continente.

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