Costruire una professione improntata all’aiuto del prossimo

Essere cooperante è qualcosa di assolutamente unico: per farlo non bastano soltanto le intenzioni: servono competenze, conoscenze trasversali, molta pazienza e capacità di autogestirsi. Serve soprattutto la disponibilità, prima di agire, a imparare da coloro con cui si desidera cooperare.

Nel giardino adiacente l’ingresso della Maris sono da poco rintoccate le 17. A Ostia Lido, periferia romana affacciata sul mare, ho circa 8 anni e gioco con i miei amichetti mentre le nostre mamme fanno gruppo parlando fra di loro.

Appena dentro l’ingresso della chiesa noto un signore seduto in terra, il volto di chi allora mi sembrava avere 60 anni, con un cartello che mi guardo bene dal leggere, un barattolo contenente pochi spicci e l’aria di chi avesse bisogno di qualcosa. Non ricordo di aver avuto, al tempo, la nozione del disagio, di cosa determinasse la distinzione tra il bisogno e l’agiatezza. Ricordo solo il barattolo con quelle poche monete, e la richiesta puramente istintiva fatta a mia madre di darmi 1000 lire, senza specificare in alcun modo cosa ne avrei fatto. Lei, che aveva una nozione del mondo orientativamente più completa della mia versione infantile, capendo perfettamente le mie intenzioni, mi disse: “Ecco qui, ma non darle a quell’uomo”. Rimasi un momento pensoso, chiedendomi cosa avesse tradito la mia volontà di mettere la banconota in quel barattolo, e simulai, per puro orgoglio, di voler solo vedere il disegno presente sul denaro, rendendolo subito dopo a mia madre. Tornai poi a giocare con i miei amichetti, restituendo di volta in volta uno sguardo sfuggevole a quella persona.

È molto curioso come un episodio apparentemente marginale sia rimasto latente nella mia coscienza e si sia ripresentato a distanza di tanti anni in maniera così forte. Ma ormai, con buona dose di certezza posso affermare che, tra le tante tappe simboliche che hanno orientato la mia vita, quel pomeriggio a Ostia sia stata la prima davvero significativa. E che essa rappresenti la premessa fondamentale di qualunque cosa possa dire sulla mia esperienza di cooperante.

Oggi ho quasi 28 anni. Scrivo da Niamey, Niger, dove Cospe mi ha dato la possibilità di lavorare come amministratore, e sono certamente ancora quel bambino ma –e ci mancherebbe altro – non solo.

Ho capito la necessità di costruire una professione su una visione del mondo improntata all’aiuto del prossimo, e sto lavorando duramente in quel senso. Ho deciso di mettermi alla prova in un Paese molto complesso, le cui problematiche legate alla sicurezza, alle condizioni socio-economiche, sanitarie, e non solo, rappresentano una sfida costante. Per farlo non bastano soltanto le intenzioni: servono competenze, conoscenze trasversali e molta pazienza e capacità di autogestirsi. Serve soprattutto la disponibilità, prima di agire, a imparare da coloro con cui si desidera cooperare.

Essere cooperante è qualcosa di assolutamente unico. Per capirne i motivi rimando ai prossimi racconti.

 

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Alessandro Giovannini

Alessandro Giovannini, romano, prima di mettersi alla prova in Niger come Amministratore Paese per COSPE ha girovagato per lavoro, studio e passione tra Europa e Asia. Adora viaggiare e ama comprendere le culture dei luoghi in cui vive; più gli sono lontane, più trova stimolante il confronto: provare i piatti tipici più particolari è una ragione di vita. La cooperazione rappresenta per lui il modo di lottare contro le ingiustizie, sviluppando al contempo la sua persona e le sue conoscenze.

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