La sveglia suona, imperterrita e puntuale, come quasi ogni mattina, alle 7. Solo quando vado a Gaza (almeno una volta alla settimana) mi tocca la levataccia. Mi sveglio prima del sole, quasi al canto del muezzin per la prima preghiera del mattino.
Ho bisogno dei miei tempi. Mi alzo con molta calma e mi dirigo alla finestra: c’è una bellissima luce su Betlemme, stamattina. È l’assurdità di questo posto, a cui penso non mi abituerò mai, nemmeno dopo quasi più di tre anni in terra palestinese. Da una parte questa atmosfera mistica, magica, spirituale che ti regala pace; dall’altra, in lontananza, il rumore delle trivelle che scavano nelle colonie* di fronte a Betlemme: ecco il rumore dell’occupazione. Che ti riporta dritta dritta alla realtà e alla crudele contraddizione che caratterizza questa terra, che amo tanto, bella ma martoriata da check point, colonie, soprusi, violazioni. Chissà quante nuove unità abitative proclamerà di costruire Bibi oggi?
Mi preparo con molta calma, doccia al volo ed ecco che sento il rumore della moka provenire dalla cucina. Il caffè italiano non manca mai nelle case dei cooperanti ed è il pegno che di solito si chiede di pagare a che viene in visita (insieme al parmigiano, ovviamente). Mangio la mia solita fetta di pane e avocado, chiedendomi dove è stato prodotto. Qui ogni scelta, anche la più banale, ha un’implicazione etica. Mi chiudo le porte alle spalle piano piano, per non svegliare il mio coinquilino, che ancora dorme, e mi dirigo alla macchina. Che check point mi conviene fare oggi? Ogni mattina è un calcolo strategico che considera innumerevoli variabili: traffico, orario, giorno della settimana, festività e così via. Ringrazio il cielo per il mio passaporto italiano, che mi permette di scegliere tra ben 3 check point e mi dirigo verso Gerusalemme.
*Le colonie sono insediamenti israeliani in territorio palestinese occupato, illegali secondo il diritto internazionale.