Il mio risveglio qui a Betlemme non è mai inaspettato. La sveglia non mi fa più sobbalzare da mesi ormai. In Palestina il mio tempo è fluido e il canto del muezzin alle quattro del mattino è parte di questa fluidità in cui la notte si fonde coi primi raggi di sole.
La luce, che si fa gradualmente più intensa e penetra, sempre più impertinente, le finestre grandi della mia camera, è costantemente accompagnata dai suoni: ed ecco che alla preghiera del mattino si sostituiscono le voci delicate del padre e delle sue bimbe del terzo piano, impegnati in conversazioni sottovoce che rivelano storie di un babbo paziente di fronte all’instancabile curiosità delle figlie.
Il suono di amore paterno scalda il primo sole dell’alba, in questo arabo tanto musicale quanto a me ancora ignoto. Apro gli occhi. La magia della mattina e il graduale risveglio dei sensi continua col profumo del caffè e la moka che sbuffa. I fiori in balcone, appena innaffiati, emanano un fresco che mi prepara alla calura tipica di una giornata estiva.
Il risveglio in Palestina, però, mi illude. E la realtà, ogni giorno, mi piomba addosso non appena riacquisisco lucidità e ricevo il primo messaggio della sicurezza: «scontri tra le forze di occupazione israeliane e dei Palestinesi» in un villaggio non troppo lontano, e non sono nemmeno le 8 di mattina. Bevo il mio caffè, e immagino che, probabilmente, non è di scontri che si tratta ma di repressione, la repressione quotidiana che vuole zittire qualsiasi forma di ribellione o spinta alla libertà di un intero popolo al quale è stata negata la terra sotto i piedi e violato ogni diritto. L’occupazione militare che Israele porta avanti dal 1967 sta soffocando il popolo Palestinese.
Esco in balcone, nel frattempo la radio mi racconta cosa accade nel mondo, e mai mi parla di Palestina, luogo non contemplato e buco nero del pianeta il cui campo gravitazionale sembra risucchiare tutto il male del mondo. Qui, intere famiglie subiscono quotidianamente qualsiasi forma di deprivazione ed ingiustizia. Eppure i Palestinesi resistono, rimangono, nutrono e tengono vivo ogni giorno il fuoco del loro amore per una terra che non vogliono lasciare e che mai abbandoneranno. E allora il mio risveglio diventa più dolce, e sono di colpo grata alla vita e a questo popolo che mi ha permesso di vivere questa terra, martoriata eppure viva e resiliente.