Quito si sveglia presto. Siamo sulla linea equatoriale e il sole sorge alle sei di mattina, ogni giorno. Il tempo invece è imprevedibile e variabile tutto l’anno. Perciò ogni giorno scegliere i vestiti adeguati è una lotteria. Guardo il cielo fuori dalla finestra cercando di indovinare se farà caldo o freddo, se ci sarà il sole o pioverà. Tutto inutile, perché a Quito il tempo cambia in continuazione e a un certo punto della giornata avrò sicuramente caldo e subito dopo freddo.
Quito è una città estesissima, in mezzo alle montagne a 2800 metri di altitudine, con quasi due milioni di abitanti, una rete di autobus inefficiente e troppe, troppe macchine. E così per molti il tragitto casa-lavoro è un’odissea. Io ho la fortuna di abitare a pochi isolati dall’ufficio e così il mio risveglio è lento e sicuramente in ritardo rispetto al resto della città.
Mi piace uscire in balcone, innaffiare le piante e guardare questo paesaggio pieno di contrasti: gli edifici nuovi e moderni di una Quito fatta di studenti e giovani coppie; gli edifici grigi e imponenti della Quito anni Settanta; le casette costruite alla buona sui fianchi delle montagne, rubando terreno ai boschi e ai prati delle Ande. Sullo sfondo le montagne imponenti che spuntano da questa distesa di cemento e mi ricordano che Quito sorge alle pendici di un vulcano attivo.
Io e il mio compagno abitiamo in un appartamento spazioso e luminoso, all’ultimo piano di un palazzo che appartiene sicuramente alla prima categoria, a due passi dalle principali università della città.
Faccio colazione, scorrendo le mail arrivate dall’Italia durante la notte, leggendo le notizie e bevendo una tazza di caffè filtrato. Ormai mi sono abituata al caffè del nord dell’Ecuador, con le sue note acide e il retrogusto di cioccolato. È il caffè dei produttori con cui lavoriamo e forse è anche per questo che mi piace tanto.
Esco di casa e cammino in fretta verso l’ufficio, mescolandomi agli studenti universitari che affollano i marciapiedi, facendo lo slalom tra i chioschi che vendono empanadas e cercando di non respirare il fumo nerissimo che esce dai tubi di scarico degli autobus.