“D’indo’ tussei”? Mi si rivolge così un signore mentre mangio un frango alla aseidinas, un pollo in agrodolce, alla pensione di Mariza di Chã das Caldeiras. Deglutisco e lo guardo strano. Come (quasi) tutti gli italiani all’estero non impazzisco a pensare di incontrare il vicino di casa in un posto sperduto dove credi di essere pioniera o giù di lì. Ma non c’è modo di ignorarlo: ha capito che sono di Firenze e mi fa lo slang, quello di campagna. Poi attacca “Eu sono qui a fazer le vacanze, eu vivo en Santiago, mi sono esposato dal 75, mio cugnato è sociologo”. A parte che quest’ultima precisazione non l’ho capita, a occhio mi pare anche che sia dal 75 che non mette piede in Italia, ma ci tiene a dirmi che è di Grassina, 5 km da casa mia. Beh. Carramba. È proprio un quasi vicino di casa e se indagassi ancora forse troverei qualche parente in comune. Ma non ho approfondito.

Qualche giorno prima era toccato alla mia collega, veneta. Il pizzaiolo di São Filipe, sentito il suo accento, ha tenuto a dirci che lui è originario di Cereseo, micro paese a 10 km dal suo. E poi ha attaccato a parlare in veneto stretto, che in confronto il creolo di Fogo è comprensibile. E anche lì abbiamo lasciato cadere. Ma la pizza era abbastanza buona, olio e pomodori permettendo. Lui e la moglie da dieci anni vanno di isola in isola dell’arcipelago capoverdiano per aprire e avviare pizzerie e poi rivenderle… Qui però si sono fermati.

Ma non sono i soli. Sulla spiaggia nera di São Filipe, alle pendici della scogliera, c’è una pensione-ristorante con vista oceano, gestito da 12 anni da un pimpante ligure fuggito dal casino dell’Italia e approdato prima a Sal e poi fuggito dal casino di Sal per arrivare a Fogo. Adesso, con l’età, sta riconsiderando un avvicinamento alla madrepatria. Intanto offre ai suoi ospiti una cucina gourmet e pesci freschi che i pescatori gli lasciano la mattina prima ancora di arrivare al mercato. Ma non finisce qui, italiani a Fogo, 40 mila abitanti per 400 km quadrati, in gran parte occupati dal vulcano e dal parco naturale del vulcano, ce ne sono ancora tanti. Un prete, un frate cappuccino dalla dubbia fama, un idraulico, un ex rider scappato per qualche crimine di cui non si sa niente e finito qui preda del grogo, superalcolica grappa locale, a crescere una figlia che, si dice, non sia sua. E poi l’ex sindacalista romano che, idem si è traferito qui per amore.

Ma gli italiani non sono nemmeno gli stranieri più numerosi: ci sono danesi, francesi, tedeschi, spagnoli, che con maggiore o minore fortuna si sono inseriti nella vita dell’isola. In fuga, pare, tutti da qualcosa ma anche come pacificati. Parlano creolo, si sono sposati con locali e non sentono nessuna mancanza della loro terra di origine. Tra questi c’è Mustafa che viene dal Kirgistan (cercato su google: esiste e viene definito il Paese dalle montagne celesti, altezza media 6000 metri), ingegnere, guida alpina, avventuriero, dopo aver girato mezzo mondo, ora non si muove più da Chã das Caldeiras. Gestisce la pensione da Mariza, di cui sopra, insieme alla moglie, Amariza appunto. Ha due figli, parla 8 lingue e nei dieci anni che sta qui è salito centinaia di volte sul Pico de Fogo (2800 metri), ma predilige le ferrate quelle difficili per i clienti più sportivi. Faccia da pirata, bandana in testa che nasconde capelli biondi da surfista, sa tutto sull’era glaciale e le piramidi pre-egizie e le civiltà scomparse. Mentre parla sotto le stelle di Chã, pare proprio che sia felice. E decine di altre sono le storie di chi arriva qui per non partire più: a cominciare dal primo francese che nell’Ottocento sbarcò qui, vi impiantò la coltivazione delle vite e fece ottanta (80!) figli colonizzando, di fatto, l’isola: il Duca Montrond. Di lui molti discendenti portano ancora il cognome e gli occhi chiari.

E oggi, qui sotto il vulcano, che forse è anche la risposta, mi chiedo quale sia l’energia e la forza oscura di questo posto che attrae persone da tutto il mondo e, in molti casi, li trattiene e li ingloba. Come una colata lavica.

Pamela

Pamela

Pamela Cioni, fiorentina, giornalista professionista, ha lavorato per diverse testate locali e nazionali dove ha scritto di cinema, cultura e cooperazione internazionale. Si è occupata di letteratura latinoamericana per la casa editrice Caminito della quale è stata anche fondatrice. Attualmente è responsabile per la comunicazione della ong COSPE per la quale è anche direttrice della rivista “Babel”.

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