“Il miglior modo di dire è fare” diceva José Martì, e Cuba oggi sta facendo del suo meglio, forse un po’ di più.

Nonostante una pandemia mondiale, nonostante le ancor più restrittive misure coercitive applicate contro Cuba dall’amministrazione Trump, nonostante la sospensione a livello internazionale del turismo, principale fonte di entrate, pubbliche e private, in moneta forte del Paese, nonostante le già scarse risorse produttive a disposizione, nonostante tutto, Cuba risponde. E lo fa a casa sua con un grande impegno, ma soprattutto lo fa oltre i suoi confini, nonostante le differenze politiche ed economiche, per arrivare laggiù in fondo a ciò che è davvero l’essenza di tutto: rimanere umani.

Quasi 600 professionisti del sistema sanitario cubano sono partiti per aiutare altri Paesi in difficoltà, come l’Italia. La nave da crociera britannica con a bordo casi positivi di Covid-19 non sapeva dove poter attraccare, ma dopo numerosi rifiuti, tra cui quelli degli USA, Cuba non solo ha offerto un porto sicuro, ma ha gestito in modo eccellente l’operazione, garantendo cure ai malati e rimpatriando il resto dei passeggeri.

C’è chi ha commentato negativamente queste azioni, chi ci ha letto del cinismo e dell’interesse politico. Io ci leggo cervello e tanto cuore. Sicuramente anche queste sono decisioni politiche, quelle giuste però. Sicuramente possono essere lette e possono di fatto essere mosse economiche, ma come proiezione e investimenti sul futuro, quelli giusti però perché aperti alla solidarietà oltre che al mero ricavo. Sono tutte scelte dettate dal fatto che Cuba ha investito in una cultura dell’umanità, della solidarietà, della sostenibilità e questa scelta non è una novità di oggi, e nemmeno di ieri. I medici, gli infermieri e il personale della salute cubano sono all’opera in vari Paesi dell’America Latina, dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Asia da tantissimi anni. Sono stati tra i primi a rispondere all’ebola, e poi tra gli ultimi a lasciare le zone più colpite.

Per una volta credo che si debba andare dritti al sodo, senza tanti giri di parole: per far cadere una volta per tutte l’ignobile embargo, vale tutto, ed è giusto che Cuba usi tutte le risorse a sua disposizione, tra cui usufruire della solidarietà delle sue eccellenze. Perché è l’embargo a essere sbagliato. Oggi più che mai è l’embargo contro Cuba a essere ingiusto. E bisogna farlo vedere con la massima chiarezza, farlo capire oltre ogni possibile dubbio, far passare il messaggio ovunque e sempre più ad alta voce. Perché Cuba oggi manda medici a salvare i nostri medici, i nostri genitori, mentre i suoi abitanti stanno per affrontare, nuovamente, un periodo di carenze e privazioni. Come se fino a paio di settimane fa invece si vivesse nel lusso, a Cuba.

E pensare che ero a Seattle quando Cuba offrì la sua cooperazione sanitaria agli States a seguito dell’uragano Katrina che devastò New Orleans nel 2005. Oggi la storia si ripete, non ha lo stesso nome, ma sta colpendo a tutte le latitudini e chi sta pagando più caro sono le fasce più svantaggiate e vulnerabili tra le popolazioni. Per questo Cuba è presente in 45 tra i Paesi che hanno più bisogno di medici al mondo, ma ciò nonostante gli USA non palesano nessuna intenzione di alleviare le restrizioni.

Qui all’Avana le code davanti ai supermercati sono triplicate. “Ah, questi cubani non hanno alcun senso civico, lo sanno tutti che non ci possono essere assembramenti di persone”: ecco, questo può essere un pensiero comune per chi non conosce in profondità Cuba. Ma qui tutti hanno le mascherine. E tutte le mascherine sono fatte di stoffe, di lenzuola e di uniformi vecchie delle scuole. Tre strati, laccetti dietro, niente elastici, e poi un bel po’ di sapone e cloro dato dallo Stato a ciascuna famiglia per lavarle ogni 4 ore e metterle al sole ad asciugare. All’ingresso dei mercati c’è una bottiglia di cloro e le 4/5 persone alla volta che possono entrare devono lavarsi le mani all’entrata e all’uscita. Ma le code sono infinite perché gli scaffali di quei mercati sono sempre più vuoti, perché per garantire una distribuzione il più equa possibile stanno distribuendo un numero limitato di qualsiasi prodotto per persona, razionalizzando il poco che c’è. Perché non c’è la possibilità di chiedere la consegna a casa ordinando la spesa online… E se altrove, quando cala l’offerta e la domanda aumenta, i prezzi aumentano, qui no, perché chi ci ha provato è stato multato e ieri hanno comunicato, nel consueto spazio informativo serale, la “mesa redonda”, i prezzi che sono stati stabiliti centralmente per i tuberi, la verdura, la frutta e tutti i beni indispensabili.

Il Presidente, insieme al Primo Ministro e ai vari Ministri, ha ripetutamente informato i cittadini della situazione e degli sviluppi quotidiani, delle prospettive e delle incertezze sui vari fronti che inevitabilmente colpiranno l’isola e il suo popolo. Dal punto di vista economico e della produzione è in corso una grande riorganizzazione ma la priorità del Paese sarà garantire e aumentare la produzione alimentare, sostenendo l’agricoltura con tutte le risorse disponibili, tra cui la benzina, bene già fortemente scarseggiante da tempo. Come durante il periodo speciale sarà permesso a tutti di seminare qualsiasi cosa ovunque.

Il Primo Ministro ha voluto spiegare con accuratezza cosa significhi in termini produttivi riuscire a garantire un paniere di prodotti alimentari a più di 11 milioni di persone. Lo sforzo sarà immenso e garantirà un po’ di sostegno ai più, ma non basterà a soddisfare tutte le necessità perché Cuba è dipendente dai suoi partner commerciali per una serie di prodotti trasformati e al momento questi Paesi amici sono anch’essi in grande difficoltà, e in generale gli scambi commerciali sono in una fase di forzato stand-by.

Oltre a mandare medici oltremare, qui il personale medico di quartiere passa ogni giorno a raccogliere i dati sullo stato di salute di ciascun residente della zona, a fare il test rapido nell’eventualità ci siano dei casi sospetti e a distribuire una medicina omeopatica preventiva per bambini e per adulti. Tutto ovviamente gratuito. E l’Avana è una grande metropoli. Ma il servizio è molto caro, altrimenti sarebbe alla portata di tutti i Paesi del mondo, anche quelli economicamente più avanzati, dove invece è un privilegio per pochi eletti.

E anche questa sera saremo tutti pronti alle 21 fuori da una finestra, da un balcone o da un patio, per applaudire più forte possibile e ringraziare con una standing ovation quotidiana tutti i professionisti della salute, qui a Cuba come all’estero, che ogni giorno fanno molto più che il possibile per prendersi cura di tutti noi.

Leggo negli articoli, nei post delle reti sociali, negli occhi degli amici e nel tono di voce dei familiari lontani che non sarà possibile uscirne uguali. Che questa è un’esperienza che ci cambierà tutti. Siamo implosi, nelle nostre frenesie, nelle abitudini di vita insostenibili, in quella mano invisibile che si è oggi palesata chiaramente. Stiamo vivendo il risultato delle dinamiche disumane che abbiamo imposto a noi stessi e agli altri, a ciò che abbiamo voluto definire noi come equilibrio naturale delle cose, piuttosto che saperlo percepire e quindi poterci convivere. Piuttosto che salvare abbiamo lasciato annegare, piuttosto che unire abbiamo segnato i confini, piuttosto che rispettare le regole di un gioco pulito, lo abbiamo voluto sporcare.

Ma oggi i Paesi più ricchi hanno una grande opportunità, quella di rimboccarsi le maniche e collaborare per pensare a come tornare in piedi tutti, a poco a poco, insieme. Ci sono popoli che lo hanno dovuto fare già molte volte nella loro storia, nella loro quotidianità, impariamo anche noi da loro.

E anche Cuba, pur non sapendo come andrà a finire, ci sta insegnando qualcosa.

#CubaSalva.

Elena Gentili

Elena Gentili

Elena Gentili nasce nel 1983 a Milano, dove vive fino a 19 anni, a parte una breve parentesi cubana che la vede catapultata nell’estremo oriente dell’isola all’età di 12 anni nel 1994, in pieno Periodo Especial. Una scelta dei suoi genitori, che avrebbe poi in qualche modo segnato il suo futuro. Finito il liceo decide di trasferirsi a Roma per laurearsi in Economia per la Cooperazione Internazionale e lo Sviluppo e a 22 anni di partire alla volta dell’Honduras grazie alla borsa di studio MAE/CRUI. Dopo un paio di mesi di stage, l’Ufficio Tecnico Locale (UTL) responsabile per l’Honduras con sede in Guatemala la incarica quale Referente Paese per circa due anni, periodo in cui apre il primo UTL in Honduras, responsabile anche per il Nicaragua. Questa esperienza la spinge a tornare a studiare e ottiene un MSc in Social Policy and Development presso la London School of Economics and Political Science - LSE, nell’indirizzo di NGO Management. Si specializza in Partecipazione e Sviluppo, elaborando una tesi sul terreno, presso il campo profughi palestinese di Nahr el-Bahred in Libano, grazie a una consulenza con UNRWA. Ma il suo sogno era e rimaneva l’Africa e quindi, non appena consegnata la tesi finale del master, nel settembre 2008 parte per il Mozambico come Responsabile del Consorzio Associazioni con il Mozambico - CAM, programma multisettoriale di sviluppo integrato finanziato dalla Provincia di Trento. Dopo più di 3 anni rientra in Italia per qualche mese per dare alla luce il suo primo figlio, Martino, e dal 2012 lavora con COSPE come Rappresentante Paese e Coordinatrice Progetti, prima in Ghana, poi in Swaziland, dove si occupa anche di Sud Africa e Mozambico, e oggi a Cuba, dove è nata Mia, la piccola della famiglia. Durante questi anni, sempre con COSPE, ha avuto incarichi di diversa natura per missioni brevi in vari Paesi del mondo e si è appassionata e specializzata sempre di più nella partecipazione della società civile nei processi di protezione e promozione dei diritti umani e specialmente di genere.

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