I social di classe sono uguali in tutto il mondo (o quasi)

Quando si vive in un Paese che non è il proprio si devono ricostruire legami, amicizie, reti di supporto, contatti utili. Nel regno di Eswatini (ebbene sì, Swaziland ha cambiato nome con decreto regio, per l’appunto) lo strumento per eccellenza, come in molte parti del mondo, sono i social. E mai come in queste situazioni, tu VUOI essere in tutti i gruppi, perché questi sono le tue finestre da cui guardare a un nuovo mondo, ma ogni volta che ti ritrovi a fissare lo schermo del telefono ti penti amaramente di questa decisione.

I gruppi dei genitori delle scuole private dei bambini sono uno specchio variegato e rappresentativo di questo marasma di ansie e paure. Si ha paura del traffico, del meteo, dei virus, e soprattutto si è pronti a credere a qualsiasi notizia che alimenti ansie e paure, inclusa la diarrea killer che si trasmette con scambi telefonici.

E la paura diventa terrore se qualcosa arriva a minacciare l’ordine e la stabilità di questo Paese, una delle più antiche monarchie assolute del continente, dove l’ordine e la stabilità si pagano al prezzo della mancanza di libertà di associazione ed espressione. La settimana scorsa, giusto pochi giorni prima delle elezioni parlamentari, ci sono stati scioperi e disordini organizzati dagli insegnanti che chiedevano miglioramenti delle loro condizioni di lavoro e minimi incrementi salariali per recuperare l’aumento del costo della vita e l’inflazione degli ultimi anni. Gli scioperi e le manifestazioni sono rari in un Paese cosi controllato, ma sono anche crescenti in questi ultimi mesi da parte dei lavoratori pubblici, che protestano per i tagli alle pensioni, ai salari, per la mancanza di risorse nelle strutture pubbliche. Quando invece, per la celebrazione dei cinquant’anni dall’indipendenza e per i cinquant’anni del re, quest’ultimo si è fatto fare un bellissimo vestito tutto d’oro, un secondo jet privato e un orologio “sobrio” dal modico valore di  alcune decine di milioni di euro.

Un po’ prima che si tenessero questi tre giorni di scioperi, con cortei previsti nelle principali città del Paese, i gruppi social dei genitori sono stati invasi da notizie allarmistiche: il governo ha deciso di chiudere tutte le scuole; no, il governo terrà aperte tutte le scuole; no, il governo chiuderà le scuole, ma solo quelle pubbliche dato che l’adesione allo sciopero è stata massiccia da parte degli insegnanti. A fronte di questa, anche sensata, decisione, le scuole private si sono avvolte in loop ansiogeni: i nostro figli rischiano la vita a venire a scuola, le teniamo aperte ma gli ingressi saranno vigilati (si sa, gli insegnanti pubblici sono notoriamente tremendi killer seriali di bambini), limitate gli spostamenti (ovunque e sempre, anche dove e quando non ci sono cortei e manifestazioni, non si sa mai che un insegnante vi attacchi a un semaforo), il pulman della scuola non opererà, non fate mettere le divise ai bambini perché (aiuto!…) “potrebbero essere seguiti da insegnanti in sciopero che vogliono portare lo sciopero dentro le nostre scuole” (citazione testuale). Epilogo: le scuole private hanno retto un giorno aperte e poi sono state chiuse per decisioni dei Consigli di Classe nei successivi due giorni.

E mentre i bambini sono stati al sicuro nelle loro case sicure, e i genitori dei bambini sicuri non sono andati a lavoro per evitare di circolare in strade insicure, la polizia, incapace di gestire una situazione di piazza complessa, quando il corteo ha cercato di deviare dal percorso autorizzato ha caricato pesantemente i manifestanti, con alcune persone seriamente ferite in ospedale, ha intimidito e arrestato i leader del movimento, ha sparato lacrimogeni e proiettili di gomma sugli insegnanti che si erano riuniti nella sede dell’associazione per valutare cosa fare, impedendo ai feriti di raggiungere gli ospedali, e infine ha soppresso le manifestazioni dei giorni successivi già autorizzate.

E al circolare sui social, insieme alle foto dei feriti, anche delle notizie che tutto era stato soppresso, i genitori hanno risposto postando le foto delle nuove uniformi di cricket. Pace e sicurezza, orapronobis.

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Federica

Federica Masi, nata a Firenze il 01.03.1975, segno zodiacale Pesci (e un tremendo ascendente Vergine) dopo una Laurea in Filosofia e un Master per la Tutela dei Diritti Umani a Roma, conosce COSPE nel 1999. Da quel momento inizia una storia lunga che prima la porta in Kosovo come volontaria poco dopo la fine della guerra, per poi passare ad occuparsi di progetti in Africa Sub-sahariana, alternando lavoro dall'Italia con periodi di permanenza all'estero tra Swaziland, Malawi, Ghana e Somalia. Nel 2004 viene eletta come la più giovane Segretaria Generale di una ONG Italiana, e tra incoscienza, passione, visione e tanta voglia di fare, accompagna la ONG per 7 anni in un percorso di crescita, sfide, difficoltà, successi. Dal 2012 torna ad occuparsi di incarichi più vicini ai progetti, prima coordinando l'Area Africa e poi assumendo la Direzione del Dipartimento Cooperazione Internazionale. Nel mezzo, la storia di una vita, una famiglia, due figli, due gatte, un cavallo, e tante missioni in 26 Paesi del mondo dove COSPE ha sedi e progetti. Col desiderio di occuparsi da vicino di quei diritti umani da cui tutto era iniziato, da gennaio del 2018 inizia una nuova avventura in Swaziland, trasferendosi con la famiglia per coordinare la sede COSPE nel Paese e in particolare il progetto RIGHTS4ALL per la promozione e protezione dei diritti fondamentali e della democrazia nel più piccolo e antico regno del continente.

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