Sono da poco passate le sei e trenta del mattino quando, disturbato dal suono continuo della sveglia, il mio braccio, come se godesse di vita propria, si muove in direzione del telefono per porre fine a questo supplizio. “Cinque minuti, solo altri cinque minuti” è il primo breve pensiero della giornata. Ed è cosi che mi risveglio dopo circa mezz’ora, consapevole che dovrò
fare tutto in fretta e furia per non tardare al lavoro.
Nonostante il sonno, ti rendi subito conto di essere in Niger. Il caldo non lascia scampo e a farti compagnia sin dalle prime ore del mattino c’è il ronzio del ventilatore acceso.
Dopo aver fissato per un po’ il movimento ipnotico del ventilatore, ancora assonnato sguscio fuori dal letto e incrocio Pablo, il cooperante spagnolo con cui abito, che si prepara ad uscire. Gli chiedo se prende anche lui il caffè, ma come ogni mattina mi risponde che è di fretta perché in ritardo. Maria, la sua ragazza anche lei cooperante, dorme ancora, mentre la gatta si avvicina ruffiana in cerca di cibo.
Metto sul fuoco la moka e frugo nel frigo per vedere se trovo qualcosa d’interessante da mangiare. Per fortuna in uno scompartimento un po’ caché ancora ci sono dello yogurt e dell’ananas. Come ogni mattina esco in giardino per la colazione. Il quartiere è calmo ed il silenzio è interrotto solamente dalle voci dei passanti che si fermano alla piccola boutique di fronte casa: è una costruzione precaria realizzata in stuoie di paglia dove puoi acquistare di tutto. Qui in Niger, come accade spesso in molti paesi africani, le case sono circondate da alte mura che, per garantire la privacy, non ti permettono di vedere oltre e quello che accade all’esterno resta un mistero fino all’uscita dal portone.
Caffè preso, sigaretta anche. Una doccia veloce a conclusione del rito mattutino e un saluto a Issoufou, il guardiano, che ricambia sorridente. Non mi resta che arrivare in ufficio, devo solo sperare che la moto parta senza troppe difficoltà e superare il traffico di Niamey.
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