Stamani a Kabul mi sono svegliata nel 1396. Non scherzo. Sono arrivata in Afghanistan alla vigilia del nuovo anno persiano, il Nowroz. Non lo sapevo. È stata una bella sensazione. Ho pensato che potesse significare un nuovo inizio. Ancora. Non ho espresso desideri e non ho fatto riti scaramantici come quelli, complicatissimi, che faccio in Italia allo scoccare del nuovo anno: indossare qualcosa di rosso, qualcosa di blu, qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio… ma ho provato a percepire qualcosa di nuovo nell’aria. Ho aperto la tenda della camera, ho riacceso la stufa, ho guardato fuori dalle inferriate. Purtroppo ho sentito solo il volo basso e borbottante degli elicotteri militari che sorvolano continuamente la città. Allora, quasi in pigiama, ma con gli anfibi ai piedi, sono uscita dalla mia cameretta, una ex stanza delle riunioni affacciata direttamente su una corte che bisogna attraversare per andare in cucina e, da lì, in ufficio.

Sì perché questa è un’abitazione-ufficio, nella green zone, quella delle ambasciate e della cooperazione internazionale: alti muri, sbarre, controlli e porte blindate. All’interno, questa casa bassa e spaziosa con la corte davanti e un giardino spoglio nel retro. Stamani c’era il sole, forse perché il Nowroz corrisponde anche alla primavera, e tutto sembrava quasi bello. I miei colleghi erano assenti, altrimenti qua alle 8 c’è già gran fermento…

Sono le 11 quando mi affaccio per andare a farmi un caffè, italiano, che non manca in nessuna casa di cooperanti ed espatriati, e tutto è silenzio. Rintontita dal fuso orario e dal viaggio mi preparo una moka e mangio i miei cereali. Sì lo ammetto per due settimane mi sono portata i miei cereali alla frutta secca a cui ormai sono affezionata. Anche se qui c’è una frutta secca buonissima e sparsa ovunque nella casa. Il latte, ahimè, è a lunga conservazione e è rimasto fuori dal frigo. Odio il latte tiepido la mattina. Ma tant’è… Smangiucchio un po’, poi aggiungo un po’ di pane – non dopo averlo scaldato in una padella – e marmellata. Una mia collega di passaggio da queste parti mi aveva avvertito che è un’operazione complessa, ma il pane abbrustolito la mattina è un must. E visto che c’era tempo, ho fatto l’operazione complessa. Per prenderlo, naturalmente, mi sono bruciata. Ancora un po’ di caffè e poi mi guardo in giro. Il prossimo passo è connettermi con il mondo e con l’Italia, dove però amici e colleghi si stanno appena svegliando.

Allora  aspetto, guardo il giardino e mi chiedo con ansia e speranza cosa mi porterà questo 1396.

Buon giorno e buon nuovo anno, Kabul.

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Pamela

Pamela Cioni, fiorentina, giornalista professionista, ha lavorato per diverse testate locali e nazionali dove ha scritto di cinema, cultura e cooperazione internazionale. Si è occupata di letteratura latinoamericana per la casa editrice Caminito della quale è stata anche fondatrice. Attualmente è responsabile per la comunicazione della ong COSPE per la quale è anche direttrice della rivista “Babel”.

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