Foto di Marianna Massa

Sebbene il 90% degli egiziani siano musulmani, non esistono restrizioni sul vestiario. Non ne esistono almeno nella legislazione, ma si sa, le leggi più forti sono quelle comunitarie, sociali, culturali. Infatti una certa modestia nel vestirsi è socialmente imposta, più alle donne che agli uomini in verità.

Un ruolo importante nella scelta del vestiario è sicuramente giocato dal paese di origine, sia per donne che per uomini. Al Cairo, specialmente in alcune zone benestanti, le persone non usano molto i tipici capi islamici fuori dalle mura domestiche, mentre nelle periferie vanno per la maggiore l’abbaya e la galabeyya (tunica femminile la prima, maschile la seconda).

Il Cairo è la città perfetta per osservare stili diversi, al Cairo c’è tutto, tutti gli anni e in ogni stagione: colori accesi, colori spenti, abbinamenti curati fino all’ultimo dettaglio e altri azzardati con ciabatte per ogni occasione, veli acconciati all’indietro o lasciandoli penzolare sul davanti, chiusi a formare una coroncina o a mo’ di copricapo, minigonne, magliette scollate e hijab, chador, nijab e burka, burkini, costumi impaiettati e bikini, biancheria intima impiumata, abiti strappati in attesa di ricucitura e abiti da sera elegantissimi.

Si trovano addirittura ragazzi in pantaloncini: eh sì, i ragazzi in pantaloncini sono una vera rarità, è infatti culturalmente accettato che le gambe possano messe essere in mostra solo da donne, e un comportamento tanto azzardato in molte zone non lascerebbe dubbi nella popolazione, che si tratta di una deviazione sessuale, e i ragazzi, per evitare di essere presi di mira per strada, non li indossano così facilmente.

C’è molta poca produzione interna di vestiti o accessori, è quasi tutto importato. Perfino gli abiti tradizionali provengono dall’estero, a volte da assemblare in loco. Questo meccanismo ha fatto sì che, negli anni, si creassero dei “centri di potere” sull’importazione.

Una lavorazione tradizionale egiziana è il telly, un ricamo solitamente in argento su un abito a rete, di cotone. In Egitto esiste un solo produttore di questo tessuto, sono solo tre o quattro le ditte che lavorano il telly ed esiste un solo importatore, che decide se e quando ampliare il suo mercato.

Se siete in possesso di un abito in telly egiziano, tenetevelo stretto!

Giuliana

Giuliana

Giuliana Sardo, trentaduenne meridionale appassionata di cene tra amici, nasce a Capua, cittadina ridente del casertano. Fino all’età di 18 anni vive nel piccolo paese di Pignataro Maggiore, 6000 anime circa, di cui un’importante parte 0ver70, e quindi decide di trasferirsi a Roma per frequestare l’Università, per potersi laureare in arabo, affascinata da una lingua e una cultura che non avevano in realtà mai fatto parte della sua vita. La sua famiglia è molto numerosa, secondo i frenetici ritmi meridionali di un tempo: due sorelle maggiori e un fratello minore, sparsi per l'Italia e con già un po’ di nipoti. I genitori invece sono rimasti al paese e vivono con la sua adorata nonna, compagna di viaggi e prima tra tutti a spronare e sostenere Giuliana per qualsiasi scelta ‘bizzarra” o “non usuale”. Lei è stata sempre la sua migliore amica. Giuliana visita l’Egitto per la prima volta nel 2007, per seguire un corso di arabo. Il Paese l’affascina, c’è poco da fare, quindi decide di provare a trasferirsi. Cerca e trova lavoro in Ambasciata e allo stesso tempo presso una scuola italiana. Matura intanto la scelta della Cooperazione e perciò decide di reiscriversi all’Università, lavorando e studiando tra Italia ed Egitto, si laurea e trova un lavoro al COSPE in Egitto, dove comincia a collaborare. L’Egitto oramai è la sua seconda casa, sono dieci anni che ne assapora i suoi gusti e organizza cene con gli amici, e ancora ha voglia di visitare i posti non visti.

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