Quito (Ecuador), 21 marzo 2020

In un Paese in cui per salutare ci si bacia e abbraccia sempre e con chiunque, mantenere le distanze di sicurezza di almeno un metro è difficile.

In Ecuador il coronavirus è arrivato dalla Spagna: il primo caso è stato annunciato sabato 29 febbraio e nel giro di pochissime ore i gel disinfettanti sono finiti ovunque.

Il numero dei contagi è aumentato poco a poco, senza seguire l’andamento esponenziale che tutti si aspettavano. Dopo quasi venti giorni, le persone risultate positive al test sono circa 500, la maggior parte concentrate nella città di Guayaquil, e quattro persone sono decedute. E questo è tutto quello che si sa.

La situazione si è mantenuta tranquilla per una decina di giorni, fino a che l’OMS ha ufficialmente dichiarato lo stato di pandemia. Nel giro di poche ore, infatti, il governo ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria: sono state chiuse le scuole e le università, molti hanno iniziato a lavorare da casa, gli eventi pubblici sono stati cancellati e i supermercati sono stati presi d’assalto, seguendo un copione già visto purtroppo in molti altri Paesi.

Con il passare dei giorni, il governo ha adottato ulteriori restrizioni: sono state chiuse le frontiere, cancellati i voli interni e gli autobus interprovinciali, gli uffici pubblici sono stati chiusi, ai ristoranti è concessa solo la consegna a domicilio, e tutte le attività produttive sono state bloccate ad eccezione di quelle legate al settore dell’alimentazione, della salute, della finanza e dell’export. A queste misure su scala nazionale, il municipio di Quito ha aggiunto ulteriori restrizioni per limitare al massimo gli spostamenti e gli assembramenti, per esempio è stato dichiarato il coprifuoco dalle 21.00 alle 5.00 e il divieto di usare il suolo pubblico: vietate dunque le passeggiate al parco, ma anche la vendita ambulante, fonte di reddito per moltissime famiglie.

Il quartiere dove abito a Quito, di solito affollato di studenti, è deserto e silenzioso. Addirittura, si sente il cinguettio degli uccelli. Ma in altre zone della città, la situazione è diversa e questo lockdown è stato interpretato come un’anteprima delle vacanze pasquali. A Guayaquil, la sindaca ha dovuto dichiarare un coprifuoco permanente per mantenere le persone in casa.

Oltre all’inevitabile collasso del sistema sanitario nazionale, già normalmente in difficoltà, quello che preoccupa sono le conseguenze sul piano sociale ed economico. Con il tasso di disoccupazione in crescita ormai da tempo, sono moltissime le famiglie che vivono grazie a impieghi informali, famiglie che per le prossime settimane dovranno affrontare non poche difficoltà.

A questa situazione si aggiunge la prospettiva, per niente positiva, dell’aggravarsi della crisi economica, è crollato il prezzo del petrolio e il governo ha annunciato un altro paquetazo. Dopo le proteste di ottobre, che avevano scongiurato l’eliminazione dei sussidi ai combustili, il governo ha colto l’occasione per annunciare un nuovo pacchetto di misure economiche: la parola d’ordine è “austerità”, che con “emergenza sanitaria” si abbina proprio male…

 

Lorena

Lorena

Lorena Mongardini, 27 anni, italo-ecuatoriana, nasce e cresce in provincia di Milano, senza mai dimenticare il legame con l’America Latina. Dopo la laurea in Economia Internazionale, si appassiona alle tematiche dello sviluppo e prosegue gli studi con la laurea magistrale in Discipline Economiche e Sociali. Sono i tre mesi di stage trascorsi in una comunità Quichua nelle Ande ecuadoriane che le fanno prendere la decisione di diventare cooperante. Il rapporto con Cospe inizia con un progetto su cacao e caffè proprio in Ecuador, per lei è un po’ come tornare a casa.

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