Senegal: il Servizio Civile ai tempi del coronavirus

Dakar, 25 marzo 2020

Questo forse doveva essere un post, anche abbastanza breve, su come vanno le cose all’estero, sulla situazione del coronavirus vista da me che non sono in Italia, con la mia famiglia e i miei affetti in una delle zone più colpite. Ogni giorno che passava, però, aspettavo a finirlo perché ogni volta si aggiungeva qualcosa di nuovo. Ora, invece, credo sia il momento giusto per farlo: in Senegal è stato dichiarato lo stato di emergenza con coprifuoco dalle 20 alle 6, sono più di novanta i casi positivi al virus, non ci sono ancora decessi, e io tornerò in Italia.

Anamaria e io siamo arrivate a Dakar da poco tempo per svolgere il nostro anno di servizio civile con COSPE e finalmente stavamo entrando un po’ più nel vivo di questa esperienza e della città che ci ospita. Ora invece eccoci qui, anche noi a casa in attesa di quello che succederà, a guardare il mondo da un balcone.

Qualche mese fa, dopo una settimana dal mio arrivo in Libano sono scoppiate le proteste contro il governo e mi sono trovata a lavorare da casa. Oggi mi trovo in Senegal e anche qui, a un mese dal mio arrivo, mi ritrovo a dover stare tra le mura di una nuova casa. Potrebbe essere una sorta di persecuzione! Ma se in Libano la rivoluzione aveva qualcosa di interessante e affascinante, la situazione questa volta è completamente diversa e mette più paura.

Dopo aver seguito con apprensione quello che succedeva nel nostro Paese e nelle case di parenti e amici, cercando di sostenerli da lontano, anche in Senegal qualcosa è cambiato. A oggi sono più di novanta i casi identificati dal ministero della salute e l’allerta in queste ultime settimana si è alzato. Il governo senegalese inizialmente ha chiuso scuole, vietato manifestazioni e assembramenti di persone, sospesi anche i pellegrinaggi nei luoghi sacri e i festeggiamenti in vista del 4 aprile (festa dell’indipendenza), fermato i confini chiudendo i voli. Da poco ha anche dichiarato lo stato di emergenza, istituendo un coprifuoco dalle 20 alle 6.

Ogni giorno io e la mia mamma ci chiediamo come stiamo, due semplici messaggi, forse per rassicurarci un po’.

Nelle settimane precedenti i pensieri, sia nostri, che quelli di amici senegalesi erano diretti verso chi si trovava in Italia, la gente ci chiedeva come stavano le nostre famiglie e com’era la situazione. Quando camminavamo per strada spesso e volentieri bambini e ragazzini ci urlavano scherzosamente “coronavirus!”, all’inizio sembrava quasi divertente, ma dopo un po’ mi faceva provare una sensazione un po’ di sconforto.

Mi è difficile capire se i ritmi della vita qui intorno stanno davvero cambiando, viviamo in un quartiere tranquillo e guardandolo dal nostro balcone non sembra essere troppo diverso. Non ho idea, quindi, se qualcosa sia cambiato nelle vite delle persone qui intorno, spesso si sente comunque il vociare dei ragazzini che giocano a calcio nel campo dietro l’angolo.

Le persone hanno sicuramente iniziato a prendere precauzioni comprando mascherine (anche qui difficili da trovare ormai) e gel per le mani, che viene spruzzato anche all’entrata dei supermercati. Noi, uscendo solo per fare la spesa, percepiamo poco di come possano essere cambiate le vite di chi ci sta attorno, vediamo persone con mascherina al supermercato e persone che continuano a lavorare e spostarsi per strada come prima. Credo sia molto difficile per molti qui “fermarsi” se non hanno altro modo per vivere.

Abbiamo notizie di amici nel resto del mondo che spesso vengono rimpatriati, altri invece rimangono dove sono. Questa situazione da un lato ci fa spesso riflettere più di altre, su come siamo privilegiati, dall’altro ci fa soffermare anche sul valore del potersi spostare liberamente quando invece, per una volta, siamo noi a esserne privati.

È stato deciso, per noi del Servizio Civile, che torneremo in Italia. A volte non si può far altro che prendere le cose come arrivano, come un’onda che ti sbatte a terra e ti riporta a riva e da lì ricominciare. O per lo meno riprovarci e usare tutte le forze per fare del tuo meglio in qualsiasi situazione ti ritroverai.

Claudia Civera

Claudia Civera

Claudia Civera, 28 anni, è nata e cresciuta nella nebbiosa provincia di Brescia. Per anni ha fatto parte del gruppo scout del suo paese, cosa che le ha fatto amare ancora di più la vita all’aria aperta, il rispetto verso l’ambiente e verso gli altri. Studiando Lingue e Letterature straniere si è appassionata all’arabo e a tutto quello che ha a che fare con questo mondo. Dopo l’Erasmus a Lione e la laurea, si è traferita a Torino per studiare Scienze Internazionali, in particolare le politiche del Medio Oriente e del Nord Africa. Nel frattempo è riuscita ad assaporare un poco di Medio Oriente con un viaggio in Palestina e uno in Libano. Durante gli studi si è interessata al mondo della cooperazione internazionale e, dopo il corso di Project Manager della scuola COSPE, è partita per uno stage in Libano dove si trova tuttora.

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