Dove il vírus (non) può arrivare: Capo Verde

All’inizio della diffusione del COVID-19, con il peggiorare della situazione prima in Cina e in seguito in Europa, era ancora lontana la percezione dei possibili rischi per Capo Verde, un arcipelago in mezzo all’Oceano Atlantico. Ironicamente si sarebbe quasi potuto pensare: “Come potrebbe mai arrivare il virus qui?” In realtà ci è stato subito chiaro che, considerando come Capo Verde sia una delle mete turistiche più ambite dagli europei, la situazione sarebbe diventata sempre più preoccupante.

Col passare dei giorni e con la conferma dei primi casi positivi (inizialmente turisti e in seguito cittadini capoverdiani), il governo, nonostante a oggi siano ufficialmente 7 i casi confermati sulle isole di Boavista, São Vicente e Santiago, ha dichiarato lo stato di emergenza che comporta la sospensione dei trasporti interni tra le isole, la chiusura degli uffici pubblici e delle attività non essenziali e l’obbligo per la popolazione di restare in casa per evitare la diffusione del contagio.

Il ritrovarsi in pochi giorni nella stessa situazione di altri Paesi gravemente colpiti, se per noi espatriati ha rappresentato una conferma delle preoccupazioni già sorte seguendo l’evoluzione dell’emergenza in Italia, ha avuto un grande impatto per la popolazione. I rischi per il sistema sanitario e per le persone più vulnerabili, uniti alle future conseguenze di questo stato di emergenza sull’economia del Paese e sulle fasce più povere e svantaggiate, delineano un quadro molto critico per Capo Verde per il presente e per il futuro, immediato e non.

All’interno del nostro team di lavoro, con le nostre colleghe e i nostri colleghi capoverdiani abbiamo cercato fin da subito di far capire la gravità della situazione, ma anche di continuare a mantenere un atteggiamento positivo rispettando le misure di prevenzione e cercando di sensibilizzare la popolazione attraverso il nostro lavoro e i nostri comportamenti.

L’obbligo di restare in casa ci ha costretto a trovare nuove forme efficaci di lavorare, come il teletrabalho (smartworking) che, se da un lato è necessario a portare avanti per quanto possibile i nostri progetti, rappresenta anche un modo di ricreare la nostra normalità e il nostro ambiente quotidiano di convivenza, condivisione e lavoro attraverso le lunghe e frequenti riunioni su Skype.

In questa situazione particolare, vorremmo che fossero in nostri colleghi locali a raccontare il loro punto di vista. Abbiamo quindi chiesto ad ognuno di loro di lasciare una testimonianza su questo momento unico che stanno vivendo rispetto sia al concetto di quarantena che di teletrabalho:

 

Sabina: Il telelavoro, una nuova sfida imposta dalla pandemia di coronavirus, ci sfida anche a essere forti e fermi con le nostre responsabilità sia nella nostra vita sociale che professionale. Questa è una bella esperienza

Buon lavoro a tutti, fate prevenzione restando a casa e collaborando sempre.

 

Elizandra: Al giorno d’oggi lavorare da casa è già una realtà per molte persone. Con l’arrivo di questa pandemia abbiamo dovuto adattarci nelle nostre case, seguendo alcuni consigli come scegliere un ambiente favorevole e rispettare gli orari. Per alcuni non è facile, ma questa è la sfida del momento. Questo nuovo modello di lavoro è per me il raggiungimento di nuove esperienze e mi sta aiutando a comprendere meglio il mondo delle tecnologie e i loro grandi vantaggi.

Lavorare in casa per proteggere il mondo!

Jelson: L’Essere Umano ha da tempo dimostrato la sua enorme capacità di adattarsi ai cambiamenti che gli sono stati imposti dalla vita e dalle circostanze. Lavorare a casa in smartworking è un’esperienza positiva, poiché aiuta a sviluppare la capacità di autodisciplina, in quanto è un ambiente di lavoro insolito e credo che sia una buona preparazione per dare il meglio, indipendentemente dalle circostanze in cui lavoriamo. Questo ci insegna che saper trarre vantaggio dalle nuove tecnologie e dai nuovi modi di lavorare, può dare buoni risultati.

Rilda: Nella situazione in cui ci troviamo ora nella pandemia di Covid 19, abbiamo scelto di accettare le misure adottate dal governo per lavorare a casa. In tal senso sto facendo del mio meglio per organizzare le attività che dobbiamo svolgere. È stata una nuova esperienza in cui lavoriamo tramite e-mail e riunioni su Skype per essere in grado di organizzare il lavoro con i colleghi. Quindi stiamo lavorando a casa per proteggerci da questo virus e per mandare avanti le attività previste. Con la situazione di emergenza qui a Capo Verde, siamo limitati ad uscire per andare al lavoro o in altri luoghi. Spero che i tempi brutti passino presto in modo che tutto ritorni alla normalità.

 

Anche loro, un po’ per nostra influenza, un po’ per la solidarietà che fin da subito hanno dimostrato per il nostro Paese e le nostre famiglie, hanno adottato il mantra italiano “Andrà tutto bene!”.

 

Team COSPE Capo Verde

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Gianluca Zanelli

Gianluca Zanelli, classe 1991, è nato e cresciuto a Brescia. Dopo aver conseguito la laurea triennale di storia presso l’Università degli studi di Milano, riceve l’illuminazione sulla via dell’antropologia e si iscrive alla laurea magistrale in Antropologia culturale ed etnologia all’Università di Bologna. Per conciliare l’amore per i paesaggi nordici e la passione per la storia africana, parte per un anno di Erasmus a Falun (Svezia), dove ha la possibilità di frequentare un Master in African Studies e approfondire le sue ricerche sulla costruzione dell’immaginario occidentale sull’Africa. Dopo tanti studi e letture, desideroso di mettersi alla prova sul campo, decide di partire nel 2017 per il servizio civile in Mozambico, come volontario in un progetto di microcredito. Lo shock culturale, dovuto al ritorno forzato nella selvaggia pianura padana, lo spinge a perseguire la strada della cooperazione internazionale, frequentando il corso per Project Manager della Scuola Cospe nell’ambito del quale ottiene la possibilità di partire in tirocinio per un’altra avventura lusofona, a Capo Verde, dove tuttora lavora per il Cospe.

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