Tutto termina e giunge a una fine, così anche questo viaggio. Riprenderò il tunnel spaziale che mi riporterà a casa in modo anonimo e forzato. Non esiste un mezzo di trasporto più antisociale e noioso che l’aereo, credo di detestarlo, dopo tanto viaggiare, dopo tanto attraversare, dopo tanto rincorrere orari, coincidenze, code, attese, non vorrei più partire. So che mi devo annullare per poterlo sopportare, non riesco neppure a stare seduto per così tanto tempo, è una continua lotta con il personale di bordo che mi rimprovera di creare disordine e confusione. È così arretrato il disegno degli aerei: i posti a sedere angusti, i pranzi insipidi e internazionalmente insignificanti, gli intrattenimenti banali, i bagni complicati e claustrofobici, tutto andrebbe ridisegnato. So che mi devo annullare per poter sopportare il viaggio, devo fare un viaggio nel viaggio e immaginare d’essere a bordo di una nave che solca il mare, che incontra le onde, che attende le stelle della notte, che profuma di profondità e di sale e speranza e pesci e che magari incontra la grande isola di plastica che soffoca l’oceano dove potersi arenare in attesa di soccorsi.
Si raccolgono le emozioni dei giorni mentre il finestrino distingue varie immagini come un susseguirsi di diapositive. Mentre mi metto in viaggio, mentre gli alisei trasportano nuove nuvole di pioggia, mentre il quartiere di San Marco alla periferia di San Salvador ancora disegna il suo percorso lungo il torrente abitato e intasato. Volo via sopra le nuvole che non possono che assecondare i venti, rapidi e inaspettati. Volo via raccogliendo parole, conversazioni, discussioni, relazioni, finalmente nella solitudine. La strada scende al mare, corre verso le onde, supera le barriere che abbiamo cercato di costruire attorno a noi, le supera e le lascia alle spalle. La strada disegna questo percorso verso il mare, al mare, tra la sabbia del mare, dove le nostre orme non durano un attimo, dove possiamo navigare con molta pazienza alla ricerca del mare aperto. Il tassista interrompe i miei pensieri ricordandomi che forse siamo arrivati, la corsa è finita prima del mare, senza il mare. Devo lasciare questo sedile comodo di un’auto piena di scritte, note, riferimenti, appunti, immagini sacre, foto famigliari, cibo lasciato a metà, giornali opuscoli bottiglie. I segni di tutti i passaggi, come se ognuno dei clienti avesse lasciato un segno del suo viaggio, come se il tassista avesse conservato ogni traccia per non lasciarla sulla sabbia. Così pure io abbandono un piccolo bigliettino, piegato sotto il sedile, dove con le dita sento altre presenze senza approfondire. Troverò il biglietto al mio ritorno perché qui nessuno toglie nulla, tutto rimarrà finché l’auto si fermerà per eccesso di ricordi e sarà depositata per sempre in un parcheggio neppure troppo vicino.
Scendo e raccolgo tutto ciò che qui possiedo e che potrebbe bastare per vivere al lungo. La missione è terminata e come spesso succede tutto sembra passare rapidamente davanti ai propri occhi, tutto sembra correre e prendere già una nuova forma. Sono stati tanti gli appuntamenti fissati, le aspettative create, rimango solo con una responsabilità precisa di ciò che serve per continuare a mantenere una relazione. Sono esausto, così mi succede quando le forze non trovano una via d’uscita. Eccomi allora davanti alla pagina vuota per scrivere la relazione, va fatto in fretta prima che altro mi travolga e possa perdere così le sfumature, le sensazioni, le complicità con tutti gli uomini e le donne incontrate. Rimane la pagina vuota davanti a me come una sfida impossibile, una differenza da colmare. La prima parola darà la traccia da seguire e non ci sarà onda del mare che potrà cancellarla.