I Libanesi sono come il Tabboulleh

Imparerai col tempo che i Libanesi sono come uno dei suoi piatti più tipici: il Tabboulleh! Che con la sua combinazione di ingredienti e proporzioni  ̶  bulgur, prezzemolo, cipollotti e menta tritati fini, con l’aggiunta di pomodoro e cetrioli a tocchettini, il tutto condito con succo di limone e olio d’oliva  ̶  è una ricetta unica, autentica e riconoscibile”.

Questa è una delle frasi che mi ha più incuriosito quando ho messo piede a Beirut e tentavo di districarmi tra le diciotto confessioni religiose, i numerosi partiti politici e il senso di identità, che a seconda del mio interlocutore, passava dai fenici ai mamalucchi, da un sentimento di appartenenza mediterraneo con lo sguardo rivolto all’Europa piuttosto che radicato a una certa strada di un tale quartiere “di quel villaggio che non ce ne sono altri uguali”.

Anche i quartieri di Beirut rispecchiano questa diversità e ricchezza culturale, essendo caratterizzati e animati da architetture, strade, negozi e persone molto diverse tra loro. Camminando nel mio quartiere, Furn El Chebbak, per andare a lavoro, ogni mattina incrocio facce ormai conosciute: dalla sarta sotto casa, che tra una preghiera e l’altra cuce e scuce i vestiti dei suoi clienti, al fruttivendolo siriano di fiducia che vende gli ashta (cirimoia) – a suo dire – migliori di tutto il Libano; dal rivenditore di internet che mi saluta sorridente e, con la sua inseparabile sigaretta, si informa e racconta tutti i fatti del quartiere; alla famiglia libano-egiziana dagli occhi blu che vende – questa volta a dire mio – i migliori manaqish (specie di focacce ripiene) della città! È una piccola comunità e le persone tendono a conoscersi tra di loro e a essere sorridenti e affabili, con ritmi più rilassati rispetto ad altre parti della città.

Perfino la padrona del negozietto di alimentari sotto l’ufficio, che al principio era diffidente, ora mi attende per parlare spagnolo o “itagnolo” e di fronte a una tazza di caffè arabo ricorda i tempi in cui era felice in Sud America e come negli anni della sua vecchiaia qui in Libano non si riconosce più nel suo Paese “dove si stanno perdendo i valori di solidarietà tra le persone e i giovani…, oh, per non parlare dei giovani…”.

Valentina

Valentina

Valentina Verze è nata a Brindisi. Ha quasi 30 anni e ha studiato Cooperazione Interazionale e Sviluppo a Bologna, per poi finire la laurea magistrale in Economia Sociale presso le Università di Forlì e di Reims. Da quasi tre anni vive in Palestina e da circa due anni lavora con COSPE come cooperante. Ha gestito nel tempo progetti di sviluppo e di emergenza ed è interessata ad ambiti di intervento legati al rafforzamento delle organizzazioni della società civile e dei processi di partecipazione democratica, percorsi di sviluppo territoriale sostenibile e inclusivo, diritti delle donne e uguaglianza di genere.

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