L’accesso all’acqua, ovvero quanto vali per il tuo Paese.

In Tunisia le modalità di accesso all’acqua identificano le tue condizioni sociali e quanto il Paese reputa importante investire su di te.

Nei quartieri residenziali di Tunisi, e in parte dei suoi quartieri popolari, l’acqua esiste nella stessa maniera che esiste a Reggio Emilia (da dove vengo), a Firenze o a Roma. D’accordo, l’acqua del sindaco (anzi, a Tunisi è acqua della sindaca!) non è proprio buona e quindi tocca ogni giorno contribuire all’inquinamento globale con montagne di bottiglie di plastica, ma se si mettono da parte le questioni ambientaliste la maggioranza degli abitanti di Tunisi può tranquillamente togliere l’acqua dalla lista dei problemi quotidiani.

A un paio di chilometri da casa mia, a cinquecento metri dal palazzo del Primo Ministro e dal monumentale palazzo del Comune, vive la famiglia di un mio amico. Per loro, invece, l’acqua continua a essere un pensiero quotidiano: non hanno acqua corrente in casa e la sola fonte idrica che hanno è una piccola fontana in cortile da cui esce acqua… discutibilmente potabile.

Più volte al giorno riempiono grandi secchi d’acqua da portare in cucina per lavare i piatti, in bagno per ripulire la toilette dopo averla utilizzata e in cortile per lavarsi. Chiaramente, l’acqua è fredda, perciò d’inverno ci si lava poco e con poca acqua riscaldata sul fuoco; oppure si va al hammam, il bagno pubblico, che per me è un luogo dove andare a rilassarmi nel weekend sotto i getti d’acqua bollente, ma per molti è ancora la sola maniera per fare una doccia non gelata.

Se ci si sposta poi nelle regioni più lontane da Tunisi, l’acqua diventa un bene da non dare per scontato. Il clima arido, la mancanza d’infrastrutture e i continui tagli delle forniture idriche da parte dello Stato provocano ogni estate proteste popolari in certe regioni nelle quali ironicamente i rubinetti domestici sono secchi e fuori dalla finestra si scogono fra i più grandi latifondi irrigati del Paese.

Nelle zone di montagna meno turistiche, poi, il rapporto con l’acqua è ancora quello di secoli fa, con l’unica differenza che per portarla dalla fonte a casa non si usano più secchi di legno e pelli di animale ma taniche in plastica. Una scena mi viene in mente ogni volta che mi lamento perché l’acqua calda non funziona bene: tre donnine anziane tutte curve che marciano in fila su per una salita portando sulle spalle grandi taniche d’acqua verso casa. Per me era solo una scena toccante durante un viaggio, per loro è l’unica maniera di accedere all’acqua.

Maria

Maria

Maria nasce 25 anni fa a Reggio Emilia ma, se potesse, sulla sua carta d’identità alla voce “nazionalità” scriverebbe: “mediterranea”. Dopo il liceo non sa cosa fare. Le interesserebbero le scienze politiche e la cooperazione ma poi decide invece di studiare l’arabo e il persiano: le lingue possono aprire tanti mondi inaspettati, Maria lo sa e la curiosità è una delle sue caratteristiche principali. Inizia così nel 2013 la sua avventura a Venezia, nel 2015 è a Rabat e l’anno seguente inizia un master in lingue e culture orientali a Roma. Proiettata verso il Medio Oriente, Maria decide di lanciarsi finalmente nella cooperazione ma, invece che in Libano, viene portata dalla sorte sulle coste tunisine per uno stage con COSPE. Le basta poco tempo per farsi affascinare dal potenziale di questo Paese e dalla sua vicinanza culturale con l’Italia, e così decide di restare ancora un po’, per coordinare con COSPE un progetto con giovani media.

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