Padre Paolo Dall’Oglio: una vita per il dialogo

Una volta ho imparato che anche i conflitti più estremi e sanguinari si possono risolvere con il dialogo e che la caparbietà delle idee di pace è più forte della paura. Ho imparato che costi quel che costi bisogna dare tutto se stessi per una idea, per cambiare il mondo, semplicemente perché è necessario farlo.

 

2009, Siria

Nel deserto a nord di Damasco, arroccato su un promontorio roccioso, intravedo il monastero di Deir Mar Musa: non avevo mai sentito parlare prima di questo luogo che sembra uscito da una favola delle Mille e una Notte. Un lunga scalinata porta fino alla costruzione principale, che sembra essere un castello medioevale, alle spalle del quale si apre una gola di rocce e sabbia. Fa caldo e il sole arroventa le rocce e le nostre teste. Arrivati nella prima struttura del monastero sento parlare italiano, un gesuita dalla stazza imponente, un gran sorriso e una barbetta bianca ci dà un caloroso benvenuto in italiano, accogliendoci con acqua fresca, e non tarda ad invitarci a pranzo in una grande tenda addobbata con tappeti dai mille colori e cuscini attorno a tavolini rotondi e bassi. I ragazzi, di diversi Paesi del mondo, incaricati della cucina quel giorno, avrebbero tardato un poco e così ne approfittiamo per visitare il posto.

Una chiesa attira la nostra attenzione, sembra veramente antichissima. Dentro affreschi, tappetti e candelabri che illuminano con delle candele muri ingialliti dalla sabbia. Attira la mia attenzione un mobiletto stracolmo di libri, avvicinandomi vedo che sono testi di varie religioni, c’è la Bibbia e c’è il Corano in bella vista, ma anche scritti di eremiti, testi sul buddismo e tanti altri. Una campana ci avvisa del pranzo.

Seduti su uno dei tappeti rosso brillante che fanno da pavimento alla grande tenda, il gesuita ci spiega che la sua missione in quel posto è il dialogo tra le varie religioni, in quel momento soprattutto tra cattolici e musulmani, e che era molto preoccupato per il fanatismo crescente in quella parte del mondo e che il dialogo era sempre più difficile ma necessario perché era l’unica via possibile per la soluzione di conflitti e lontani rancori che covavano sotto le sabbie del deserto. All’epoca non compresi appieno quelle parole alle quali avrei dato un significato solo qualche anno più tardi. Ci parla della sua esperienza e del progetto con fervore e grande passione ricordandoci anche che una volta finito il pranzo avremmo dovuto lavare i piatti di tutti: nel monastero anche i visitatori avevano un lavoro da fare e nulla era gratis.

Finito il nostro compito ci invita a visitare un sentiero attraverso la montagna dietro il monastero, per scoprire le grotte che nel passato avevano ospitato un eremita etiope, il fondatore dei quel posto, un luogo di preghiera e riflessione, un luogo aperto ai credenti di tutte le religioni, lingue, credenze e culture senza limitazioni. Quel giorno le grotte e il sentiero erano totalmente deserte e quindi ne approfitto per passare diverso tempo – minuti, ore, non ricordo più – in una delle grotte che si affacciava sul grande deserto e mi faceva vedere dall’alto il monastero e i gesuiti insieme a vari volontari che camminavano da una parte all’altra presi in differenti occupazioni. Così decido di registrare ogni singolo particolare di quel posto, per conservarlo nella mente e potermici rifugiare nei momenti di stress e stanchezza anche a chilometri di distanza.

La notte con le sue stelle luminose stava prendendo il posto del color arancione del tramonto e la temperatura iniziava a scendere bruscamente: era ora di andare. Avrei voluto salutare il padre ma era già in un’altra struttura preparando i canti per la notte. Ci allontaniamo verso la macchina a valle e i canti dei monaci sembrano mescolarsi con quelli dei muezzin dei paesini in lontananza, mi sembra di vedere una sagoma imponente di una persona in cima alle scale che ci salutava con la mano, forse è solo una roccia ma saluto ugualmente.

 

2011, Malawi

Leggo sui giornali italiani su internet che padre Paolo Dall’Oglio ha dovuto lasciare la Siria per un decreto di espulsione del regime di Bashar al-Assad, impegnato in quei mesi in una forte repressione durante le proteste popolari: probabilmente il messaggio di dialogo era considerato troppo rivoluzionario e inconveniente in un momento dove si volevano far vedere i muscoli e i propri armamenti.

 

Luglio 2013, Italia

Leggendo i vari giornali, l’attenzione mi cade su una foto di un gesuita dal grande sorriso e con la barba bianca (non troppo lunga). Era sempre Paolo Dall’Oglio: apprendo che già nel 2012 era rientrato in Siria a seguito della dura guerra che stava devastando il Paese, non era però andato a Deir Mar Musa dove l’avevo conosciuto ma nella zona del Kurdistan ai confini con l’Iraq. La notizia riportava la sua scomparsa dopo essere stato visto l’ultima volta a Raqqa per mediare la liberazione di alcuni ostaggi con un gruppo di fondamentalisti islamici (che avrebbero poi fondato mesi più tardi lo Stato Islamico o Califfato con Raqqa capitale).

 

Bolivia, 2021

Sono passati tanti anni da quello strano incontro in un luogo magico perso nello spazio e nel tempo. Non so se Deir Mar Musa esista ancora, non so se qualcuno stia portando avanti il progetto del gesuita. So però che la guerra ha devastato un Paese meraviglioso, ha portato via migliaia di persone e tra questi amici e conoscenti di quell’epoca in cui lavoravo nella regione. Lo stato islamico è caduto, per lo meno in Siria, ma malgrado varie notizie che parlavano di Paolo Dall’Oglio ancora come ostaggio pronto per la liberazione, a oggi non si hanno notizie del gesuita. In molti lo danno ormai per morto, ma io sono sicuro che se dovessi ritornare un giorno in quel deserto e tra quelle caverne sopra al monastero potrei scorgere ancora una sagoma che mi saluta e io potrei rispanderli finalmente “Arrivederci e grazie Paolo”.

 

Antonio

Antonio

Antonio Lopez y Royo, anche se il cognome può trarre in inganno, è leccese, nato e cresciuto nella penisola salentina dove, anche se la vita lo ha portato via da tanto tempo, ritorna almeno una volta l’anno. Si laurea in legge con un Erasmus in Germania, si specializza in cooperazione intenzionale a Bruxelles e inizia a lavorare nel mondo delle ONG nel 2005, lavoro per il quale si trasferisce a Roma, dove vive per diversi anni. Dopo alcune esperienze in progetti di educazione allo sviluppo in Italia, inizia a lavorare all’estero con numerose missioni tra Libano, Siria, Ghana, Colombia, Argentina, per fermarsi poi come capo progetto e rappresentante Paese in Malawi. Finita l’esperienza africana, nel 2012 si trasferisce in Bolivia, sempre come direttore progetto e coordinatore Paese: qui, oltre alla cooperazione, comincia a lavorare come professore universitario e nel 2017 inizia a Buenos Aires un dottorato in diritto internazionale ambientale; nel 2019 inizia a lavorare per COSPE a La Paz. Nel frattempo la sua vita lavorativa si intreccia con quella familiare e, nel 2015, si sposa con una ragazza boliviana con la quale ha avuto da poco due figli.

Articoli correlati