Teresina, nella regione del Nordeste, famosa per essere la città più calda del Paese, è il posto dove ho trascorso la maggior parte della mia esperienza da cooperante in Brasile. Poi, dopo tre anni di costanti e fastidiose goccioline di sudore, sono tornata a Rio de Janeiro, dove con più facilità riesco a seguire conferenze ed eventi, a tessere e mantenere relazioni con organizzazioni e reti della società civile brasiliana. In entrambe le città, a finestre e porte chiuse, potrei benissimo immaginarmi di essere in un appartamento in Italia.
Il piccolo e pratico monolocale di Teresina era parte di una fila di colorate casette a schiera che qua chiamiamo condominio o vila, il cui grande portone d’ingresso e la recinzione “a prova di scossa” compongono il collettivo sistema di sicurezza che mi consentiva di ammirare un cielo limpido senza le sbarre alle finestre, qui tanto usate .
A Rio, invece, il nostro è l’ultimo appartamento di un semplice palazzo di dieci piani (senza ascensore, sì!): cucina, sala e tre stanze per avere spazio e calma nel momento di lavoro, per isolare il suono della chitarra che mio marito non abbandona mai e per ospitare colleghi, amici e familiari in visita. Mobili rigorosamente costruiti homemade e tanti piccoli dettagli IKEA sono il nostro ambiente casalingo.
Come in molte città brasiliane, anche qua molte famiglie di classe media e alta preferiscono vivere in complessi residenziali dotati di molti comfort, sicurezza e un pizzico di segregazione: palestra, piscina, parco giochi per i bambini, parcheggio, vari ascensori, sala per le feste… E come in molte città brasiliane, tante altre famiglie di classi più basse vivono in quartieri periferici o in favelas, con strutture precarie e pochi servizi, ma con in casa tante televisioni: queste non mancano davvero mai.
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