Da straniera questa è una domanda che mi viene fatta spesso quando siedo a un caffè: infatti il mio stomaco potrebbe non reggere l’affronto dei batteri che ogni egiziano purosangue sfida senza timore alcuno, e quando la domanda non mi viene posta l’acqua in bottiglia arriva comunque. Ogni guida turistica avvisa di non bere acqua non sigillata in Egitto, e direi a buona ragione: insufficienza renale, disturbi gastrointestinali, parassiti come l’ameba sono le conseguenze degli inquinanti e delle elevate concentrazioni di piombo, rame, nichel, molibdeno e molto altro rilevati nell’acqua. Ma l’acqua imbottigliata qui è un bene di lusso che non tutti possono permettersi, circa tre euro per sei bottiglie, la maggior parte della popolazione è quindi costretta a bere l’acqua corrente. Naturalmente parlo della popolazione che almeno a casa ha l’acqua! Infatti un numero significativo di famiglie nelle zone rurali e nelle periferie urbane non è ancora collegato con il sistema idrico.

Se poi aggiungiamo che l’Egitto sta affrontando una grave crisi idrica e che l’acqua procapite sta diminuendo anno dopo anno, questo non è proprio il Paese giusto per dimenticare un rubinetto aperto, ma perfetto per parlare di “oro blu”.

E’ molto raro entrare in casa di egiziani e trovare dell’acqua imbottigliata, c’è sempre da pregare che ci sia un’altra bibita a salvarti da rifiuti inaccettabili per la famiglia che ti ospita oppure da inevitabili nottate in bagno. Quello che è invece molto più comune è lo spirito di  adattamento: se non si ha acqua in casa e non si hanno possibilità di comprarla, comunque si può star certi che si riuscirà a bere! E’ infatti molto frequente trovare per strada piccole giare o distributori d’acqua, completamente gratis e molto spesso attrezzate anche con un bicchiere (rigorosamente di metallo): Egyptian water-sharing lo si potrebbe definire, da ritenere comunque off-limits per noi stranieri dallo stomaco debole.

Scopri cosa fa COSPE in Egitto

 

Giuliana

Giuliana

Giuliana Sardo, trentaduenne meridionale appassionata di cene tra amici, nasce a Capua, cittadina ridente del casertano. Fino all’età di 18 anni vive nel piccolo paese di Pignataro Maggiore, 6000 anime circa, di cui un’importante parte 0ver70, e quindi decide di trasferirsi a Roma per frequestare l’Università, per potersi laureare in arabo, affascinata da una lingua e una cultura che non avevano in realtà mai fatto parte della sua vita. La sua famiglia è molto numerosa, secondo i frenetici ritmi meridionali di un tempo: due sorelle maggiori e un fratello minore, sparsi per l'Italia e con già un po’ di nipoti. I genitori invece sono rimasti al paese e vivono con la sua adorata nonna, compagna di viaggi e prima tra tutti a spronare e sostenere Giuliana per qualsiasi scelta ‘bizzarra” o “non usuale”. Lei è stata sempre la sua migliore amica. Giuliana visita l’Egitto per la prima volta nel 2007, per seguire un corso di arabo. Il Paese l’affascina, c’è poco da fare, quindi decide di provare a trasferirsi. Cerca e trova lavoro in Ambasciata e allo stesso tempo presso una scuola italiana. Matura intanto la scelta della Cooperazione e perciò decide di reiscriversi all’Università, lavorando e studiando tra Italia ed Egitto, si laurea e trova un lavoro al COSPE in Egitto, dove comincia a collaborare. L’Egitto oramai è la sua seconda casa, sono dieci anni che ne assapora i suoi gusti e organizza cene con gli amici, e ancora ha voglia di visitare i posti non visti.

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