Brasile: il Presidente
non la prende sul serio

Con la sensazione di essere improvvisamente finita in un mondo parallelo, e con un pizzico di autocritica per l´eccessiva ingenuità nel non aver captato sin dalle notizie della Cina il disastro che si preannunciava, vivere il coronavirus in Brasile è ancora più surreale. Non solo mancano misure coordinate per far fronte all´emergenza ma proprio manca la volontà del Presidente della Repubblica di prendere la cosa sul serio, banalizzando ciò che è evidente ormai al mondo intero. Ascoltare persone che credono che la fede risolverà tutto o che i media stanno divulgando notizie false per minare il governo e istaurare il comunismo nel Paese… Ecco, forse questo sì che è davvero vivere in un mondo parallelo!

Sin dai primi giorni, dopo le informazioni dei contagi che confermavano la presenza del virus nel Paese, era chiaro che non ero l´unica “innocente”. In farmacia mi spiegano che non avevano più alcol disinfettante né mascherine: “ne avevamo poche unità, sai, non ci aspettavamo questa grande domanda” (!!!). Al supermercato invece pareva che le persone stessero ancora più vicine l´una all´altra per far sapere che non avevano certo paura: “ah, tanto di qualcosa dovrò pur morire”. Il diffuso argomento della presenza nel Paese di plurime malattie che uccidono, quali la dengue, che per carità esistono e sono importantissime, ha portato molte persone a considerare il coronavirus come un´altra di queste. Eppure, con il passare dei giorni e con l´aumentare dei casi, con l´avvicinarsi del virus intorno ad amici e familiari, le persone iniziano a percepire sempre più quanto questo sia effettivamente grave. Quanto sia una roulette russa visto che qua sono molti, se paragonati ad altri Paesi, i casi di sindromi respiratorie gravi e decessi anche di giovani, spesso senza previe patologie, tra cui bambini.

Professionisti della salute e cittadini coscienti invitano all´isolamento sociale per contenere la curva del contagio, poiché il sistema pubblico non è preparato per una pandemia: pochi ventilatori, pochi letti in terapia intensiva, strutture debilitate anche per il pronto soccorso a causa di ripetuti tagli, in primis l´Emenda Costituzionale 95 che nel 2016 congelava gli investimenti nella salute per i prossimi 20 anni (che ancora è vigente e è uno degli obiettivi principali di impegno politico della società civile in questo momento). Già si fatica e il picco ancora deve arrivare, atteso per maggio e giugno. E se da un lato si informa e si spiega l´importanza di restare a casa, dall´altro questi sforzi sono stroncati da dichiarazioni pubbliche di Bolsonaro, i cui effetti sono evidenti per le strade: persone che circolano senza evidenti necessità, riapertura di negozi e addirittura manifestazioni contro la quarantena.

Qua, a Rio de Janeiro, fortunatamente il governo statale e quello municipale non hanno aderito alla pazzia negazionista, seppur non si sia stabilita una rigida quarantena e seppur la vita per molti ancora prosegua normalmente. Questo sabato sono andata a piedi a prendere gli ortaggi con il mio gruppo di acquisto solidale e giuro che mi sentivo in un videogame, cercando di schivare tutte le persone che passeggiavano tranquillamente. Quasi mi metto a correre quando una coppia attraversa la strada venendo nella mia direzione! E il mio quartiere non è affatto bolsonarista, si sente dal clamore delle pentole ogni giorno alle 20.30. Eppure la quarantena non funziona a pieno neppure qui.

Le autorità informano che, nonostante gli sforzi, è estremamente difficile acquisire nuovi macchinari e rafforzare dunque il prezioso SUS – Sistema Unico di Salute. L´unica reale alternativa è stare a casa. Ovvio, per chi può… Mentre poche imprese concedono ai lavoratori l´opzione dello smart working o home office, mentre aumentano i licenziamenti, l´isolamento sociale per lavoratori autonomi ed informali è ancor più sinonimo di assenza di entrate e in molti casi di fame e povertà. Un grave problema, che già si sta verificando in questo primo periodo, che vede crescere le famiglie che si mettono in contatto con iniziative di solidarietà che la società prontamente sta organizzando: organizzazioni della società civile, sindacati, collettivi delle favelas e periferie urbane, movimenti sociali… e molti molti volontari. Guardando con ammirazione questa grande capacità di resilienza rinnovo il mio ottimismo e penso davvero che qua, come ci ripetiamo sin dall´elezione di Bolsonaro, “Ninguém solta a mão de ninguém” (Nessuno lascia la mano di nessuno).

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Martina

Martina Molinu, trentunenne quasi trentaduenne, nasce in provincia di Firenze, nelle colline del Valdarno. Fino ai 19 anni resta fedele al piccolo paesino di Gaville, poco più di trecento abitanti, più pecore sicuramente che abitanti, dove impara il valore di un buon pomodoro colto dalla pianta o di una santa fettunta con l’olio del proprio giardino! Studia Scienze Internazionali e Diplomatiche un po’ a Forlì, un po’ a Berlino e un po’ a Rio de Janeiro, quando inizia la sua avventura brasiliana. A 24 anni comincia quindi a dividersi tra l’Italia, nei rincontri con la famiglia sardo-toscana, la Spagna, dove vive la cara sorellina con i bellissimi nipotini, e il Brasile, il Paese della sua nuova famiglia. Nonostante anche COSPE sia di origini toscane, la collaborazione nasce in Brasile, con uno stage nel 2012 che poco a poco si trasforma in una matura collaborazione. Attualmente è Responsabile Paese e Coordinatrice di Progetti e considera un privilegio poter tornare “a casa”, sperimentando anche cosa significhi lavorare in Italia.

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