Il destino, un biglietto, un telefono: una nuova vita che si apre.

Ottobre 2005. L’aereo sorvola leggero una grande vallata, tutto intorno le vette perennemente innevate. Non conosco ancora i nomi di queste maestose montagne delle Ande ma una voce al microfono invita ad allacciare le cinture e a prepararsi ad atterrare all’aeroporto di El Alto. L’aereo plana leggero e sul lato destro scorgo dal finestrino la città di La Paz che si arrampica su tutta la vallata e, unita come un mantello di casette di mattoni senza intonaco sulla pianura sconfinata del grande altipiano, la città di El Alto; in fondo si scorge il mare delle Ande, il lago Titicaca.

È il mio primo viaggio come cooperante, l’emozione è tanta, come tanta è la voglia di fare: non avrei mai immaginato che, dopo gli anni di studi in legge, quei valori e quei principi appresi si trasformassero in voglia di partire e di mettere in pratica quanto imparato non nelle aule di un tribunale ma nelle comunità più vulnerabili in giro per il mondo.

Maggio 2020: Osservo velocemente stralci delle mie note, scritte su fogli, bigliettini, agende e dietro foto stampate, sono diversi scatoloni di ricordi, tante esperienze, volti e oggetti che avevo dimenticato di avere. La scatolone alla mia destra riporta gli anni 2006-2011, lo apro e fra la polvere che in piccoli granelli mi pizzica il naso, ecco spuntare un mascherone in legno acquistato nel mercatino voodoo ad Accra, la barca di Noè con animaletti intagliati in legno che avevo comprato per far giocare i figli dei colleghi in Malawi, il bicchierino in vetro rosa e con dei merletti argentati dell’ora del tè in Siria, e foto, tante foto e pagine scritte. Penso che di strada ne ho percorsa tanta da quell’autunno 2005: progetti di cooperazione, di educazione allo sviluppo, città, campagne e tante foreste. Volti che si stavano perdendo nei ricordi, compagni di viaggio per tanti anni o per pochi giorni, un filo conduttore tra lavoro e vita persone che iniziava a srotolarsi.

Apro un altro scatolone con sopra scritto Bolivia 2012-2020, uno scatolone enorme perché non contiene ricordi di brevi missioni ma ricordi anche di vita famigliare, mai avrei immaginato in quel lontano 2005 di dover tornare in Bolivia per viverci a lungo.

Lo sguardo mi cade su un biglietto, è l’ingresso all’Equinozio di La Paz, e attaccato a questo un piccolo foglio ormai ingiallito.

Ottobre 2012. Il locale è abbastanza buio, per alcuni tratti mi ricorda una caverna, fa caldo dentro, un contrasto forte con il freddo della notte di La Paz. Oggi suonano gli Ataco, un gruppo boliviano abbastanza famoso, non li conosco ancora. La musica mi sembra forte e le poche luci a volte quasi abbaglianti, forse gli effetti dei festeggiamenti dell’Oktoberfest con gli amici della cooperazione tedesca, immancabile appuntamento ovunque mi trovi dal 2002 anno del mio Erasmus in Germania. Tra la folla scorgo una bella ragazza: ci guardiamo, ci avviciniamo e dopo alcune parole ci scambiamo il telefono. Leggo sul foglietto che mi lascia il suo numero e il suo nome.

Non avrei mai immaginato che da lì a 3 anni ci saremmo sposati nel Salento per poi ritornare a vivere a La Paz per diversi altri anni. La vita, non solo del cooperante, è anche questo: un mix di casi, episodi e strade che si aprono e che percorri, non immaginando neppure della loro esistenza.

Antonio

Antonio

Antonio Lopez y Royo, anche se il cognome può trarre in inganno, è leccese, nato e cresciuto nella penisola salentina dove, anche se la vita lo ha portato via da tanto tempo, ritorna almeno una volta l’anno. Si laurea in legge con un Erasmus in Germania, si specializza in cooperazione intenzionale a Bruxelles e inizia a lavorare nel mondo delle ONG nel 2005, lavoro per il quale si trasferisce a Roma, dove vive per diversi anni. Dopo alcune esperienze in progetti di educazione allo sviluppo in Italia, inizia a lavorare all’estero con numerose missioni tra Libano, Siria, Ghana, Colombia, Argentina, per fermarsi poi come capo progetto e rappresentante Paese in Malawi. Finita l’esperienza africana, nel 2012 si trasferisce in Bolivia, sempre come direttore progetto e coordinatore Paese: qui, oltre alla cooperazione, comincia a lavorare come professore universitario e nel 2017 inizia a Buenos Aires un dottorato in diritto internazionale ambientale; nel 2019 inizia a lavorare per COSPE a La Paz. Nel frattempo la sua vita lavorativa si intreccia con quella familiare e, nel 2015, si sposa con una ragazza boliviana con la quale ha avuto da poco due figli.

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