Clacson a intermittenza, gente che urla vendendo di tutto a ogni angolo, possibilità di mangiare a qualsiasi ora della giornata, feste che dovrebbero essere familiari che diventano di vicinato, inaspettati punti di ritrovo culturali e letterari in quartieri improbabili, bambini che giocano per strada, il riconoscere che non sei della zona e che potresti aver bisogno di aiuto, indicazioni stradali stravaganti quando la numerazione civica è fatiscente, parcheggiatori illegali, bucato steso ovunque, case popolari occupate abusivamente, traffico incessante, strade dissestate e, a volte, non asfaltate. Ma, soprattutto, la resilienza della gente che vive quotidianamente in questo tipo di ambiente: Napoli, direte voi. E invece no, parlo della “cugina anziana” di Napoli, Il Cairo!
Nella quotidianità le persone che incontro sono molteplici e quasi sicuramente non le conosco tutte! La giornata inizia con i bambini del quartiere che non frequentano regolarmente una scuola, tutti provenienti dal sud dell’Egitto, e a cui piace radunarsi sotto casa mia. Ogni giorno hanno una storia nuova da raccontarmi, si va dal recupero di un giocattolo perso chissà dove, a un altalena costruita con vecchi cavi elettrici, al calcio quando si recupera una palla, e così via.
Spesso vado a fare colazione dai siriani, il mio quartiere ne è pieno. Lì incontro sempre un anziano che se ne sta seduto, mangiando o fumando, con cui spesso mi fermo a parlare ma del quale non conosco il nome. Lui per me è Hagg (appellativo di rispetto per una persona anziana e significa “pellegrino”, indicando le persone che sono riuscite a ottemperare a uno dei cinque pilastri dell’Islam, il pellegrinaggio alla Mecca) e io per lui sono Binty (“figlia mia”, “ragazza mia”).
La giornata procede aspettando il minivan che mi porterà al lavoro mentre intorno a me regna il caos, tra macchine, minivan e persone in attesa ovunque per strada, in un ordine non concepibile: la fermata dell’autobus è semplicemente dove si sta fermi ad aspettare, a volte nel bel mezzo della strada!
Questa città sa come farmi sentire a casa, sa come donarmi un pezzo di Napoli, ed è forse per questo che qui non mi sono mai sentita una straniera.